“Spero tu sia pronto, perché sto per raccontarti la storia della mia vita. Ad esser più precisi, del perché la mia vita è finita. Se stai ascoltando queste registrazioni, allora tu sei uno dei motivi”.
Sono queste le prime parole di Hanna, che risuonano all’interno di quelle tredici audio cassette: tredici registrazioni per spiegare i motivi che l’avrebbero portata a quella decisione estrema di togliersi la vita. Basata sul romanzo di Jay Asher, la serie tv di Netflix “Thirteen reasons why” ripercorre temi delicati e complessi come il suicidio, il bullismo e l’isolamento adolescenziale; mostrandoci luci e ombre di una fase di vita psicologicamente intensa, costellata da sfide ed eventi critici: l’adolescenza.
In attesa della quarta stagione, che uscirà il 5 giugno, soffermiamoci su tre aspetti psicologici legati a questo periodo di transizione utili, inoltre, a dare una lettura del suicidio di Hanna.
1.“CHI SONO?” IL DILEMMA IDENTITARIO
Il dilemma che l’adolescente deve affrontare si lega alla dimensione identitaria. Se dovessimo pensare ad una domanda emblematica di questa fase di vita, probabilmente sarebbe:
“Chi sono?”
Da un lato l’adolescente è chiamato ad abbandonare l’immagine di sé come fanciullo, ricercando al di fuori della famiglia nuovi modelli identificativi: amici, insegnanti e così via. Dall’altro è chiamato ad assumere un ruolo che gli consenta di essere riconosciuto dalla comunità sociale. Il compito di sviluppo adolescenziale è quello di costruire in modo autonomo la propria identità, che è individuale ma allo stesso tempo sociale. Come evidenzia Palmonari “è un processo esaltante, ma anche doloroso”.
Anche Hanna, si trova ad affrontare questo “compito identitario”, accompagnato dal bisogno di sperimentazione e di sperimentarsi: nuove amicizie, nuove sensazioni, nuove esperienze che, tuttavia, nel suo caso, non fanno altro che restituirle un’immagine di sé negativa e distorta.
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L’ACCETTAZIONE
“Sentirmi diversa era diventata una condanna, volevo solo essere come loro”
Stessi abiti, stesse acconciature e stessi modi fare: il bisogno di “camuffarsi” e confondersi con i pari attraverso il fenomeno del “conformismo” è un altro aspetto tipico di questa fase di vita, facendo emergere una sorta di identità collettiva. Tuttavia, entrare a far parte di un gruppo non è cosa semplice e Hanna lo sa bene.
Cosa accade quando l’adolescente non viene accettato? La storia di Hanna ci mostra quanto il rifiuto e l’isolamento possano portare a dei vissuti emozionali profondamente dolorosi, capaci di minacciare l’intera identità del soggetto: il rischio è che l’adolescente si convinca di essere sbagliato o “difettoso”.
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LA VERGOGNA SOCIALE
La sofferenza adolescenziale è oggi abitata prevalentemente da sentimenti di vergogna e da sensazioni di inadeguatezza, determinati da delle aspettative sociali e personali particolarmente elevate. La vergogna è, infatti, un’emozione “interpersonale” che al pari del senso di colpa e dell’orgoglio, si lega a come io mi percepisco in relazione all’Altro. Diversi studiosi evidenziano come l’adolescente d’oggi, più che disagi e patologie legate alla dimensione della colpa, presenterebbe prevalentemente forme manifeste di vergogna; questo aspetto è ben testimoniato dall’eclatante aumento di casi di ritiro sociale.
Complessa, polisemica, dolorosa, Hanna, si trova spesso a fare i conti con questa emozione, portando nel suo caso ad effetti disastrosi.
Nonostante i diversi tentativi di farne parte, la possibilità di essere riconosciuta e accettata dai coetanei sembra essere un’impresa impossibile per Hanna, divenuta ormai oggetto di pettegolezzi, disprezzo e profonda svalutazione. La scuola e il mondo diventano luoghi ostili e l’idea di non poter contare su nessuno non fa altro che accrescere il suo desiderio di eclissarsi:
“E se l’unico modo per non sentire tutto questo dolore fosse smettere di sentire, per sempre?”
In Hanna, pertanto, si fa strada non solo la sensazione di non avere via d’uscita, ma anche di un’inutilità dello sforzo: “qualsiasi cosa provo a fare comunque non mi porterà ad uscire da questa situazione”.
Il pervasivo sentimento di vergogna, la mancata accettazione dell’Altro, l’impossibilità di rappresentarsi un futuro possibile spingono a ricercare strade per lenire il dolore e il tentativo di scomparire togliendosi la vita, è in taluni casi la via più facilmente percorribile.
“La solitudine di cui parlo è di quando pensi di non avere più niente. Niente! E nessuno! Stai affogando, e nessuno ti tira la fune”
Hanna.
IT’S OKAY NOT TO BE OKAY
La serie, facendo luce su diverse problematiche adolescenziali e non solo, ha come obiettivo principale quello di aiutare chi la guarda a parlarne. In particolare, nel caso in cui stessi combattendo anche tu con le stesse difficoltà, il consiglio è quello di confrontarti con qualcuno. Scegli un familiare, un amico, lo psicologo a scuola o un adulto di cui ti fidi, perché nel momento in cui inizi a parlarne, diventa più facile.
Nonostante quello di Hanna sia un finale estremamente tragico, è importante ricordare come l’adolescenza non rappresenti solo una fase dolorosa e negativa, bensì di scoperta, cambiamento, novità, esplorazione e desiderio. Essere adolescenti è un’esperienza esaltante, caratterizzata dall’acquisizione di nuove competenze, di nuovi legami, di nuove amicizie, di nuove conoscenze.
“Che stagione l’adolescenza. Senti di poter essere tutto e ancora non sei nulla […]. Non hai confini, l’immaginazione può spaziare ovunque”. – Eugenio Scalfari
Dott.ssa Federica Biroli
Riferimenti:
“Adolescenza e compiti di sviluppo”, E. Confalonieri, I. Gavazzi
https://www.stateofmind.it/2016/07/conformismo-autonomia-adolescenza/