Su quali elementi ci basiamo per riconoscere il volto di una persona? Sugli occhi o sulla bocca, oppure sul naso direte voi: queste sono tutte risposte corrette ma incomplete.
E’ infatti stato dimostrato che l’elaborazione dei volti nel nostro cervello avviene in maniera olistica, ossia tramite l’insieme degli elementi, e non si basa su una sola parte; ancora più importante è capire che ciò che rimane di una faccia è più della somma di quegli occhi, con quel naso e quel determinato mento, è l’immagine nel suo insieme, la sua totalità.
Questo meccanismo giustifica il fatto che sempre più spesso in questo periodo sentiamo la frase: “oh ciao, non ti avevo proprio riconosciuto, sai… la mascherina…”, coprendo metà del viso, infatti, ostacoliamo l’elaborazione: il riconoscimento e la comprensione non solo del volto in sé, ma anche delle emozioni che esprime.
Probabilmente da oggi in poi assoceremo sempre la mascherina ad un periodo negativo, a tanta sofferenza, identificando il momento in cui potremo toglierla come la ritrovata libertà; oltre ad una protezione rimarrà sempre la maschera e sipario dietro cui molti di noi hanno dovuto vivere il proprio dolore.
Eppure, pensandoci bene, se per noi coprirsi il volto è stata la novità, in altre parti del mondo è la norma, e come noi anche chi fa parte della cultura islamica e si copre con il velo o della cultura orientale e la mascherina la usa spesso, compie la stessa elaborazione di tipo olistico comunicando in modo efficace; possiamo quindi domandarci come un viso parzialmente coperto influisca sulle interazioni sociali in altre culture e come sia possibile avere comunque una comunicazione efficace.
Sebbene le motivazioni che portino a coprirsi il volto possano essere molto diverse a seconda della cultura, l’impatto visivo può essere simile. La bocca è sicuramente una delle parti più informative per il riconoscimento delle emozioni soprattutto positive, come si può sorridere senza vedere la bocca? Eppure in alcune culture le persone riescono a riconoscere lo stato d’animo di altri, anche estranei, questo perché si sono adattate ad estendere la loro attenzione a tutto il corpo, agli elementi linguistici non verbali e prossemici (ossia che riguardano la postura o la distanza interpersonale). L’ importanza del contatto visivo, al movimento delle sopracciglia, ma anche una gamma più ampia di inflessioni verbali, una maggiore modulazione del tono della voce; questi sono aspetti a cui generalmente tendiamo a dare meno attenzione, perché focalizzati prevalentemente sulla zona della bocca. Nella maggior parte dei casi queste differenze sono inconsapevoli e non ci rendiamo conto di dare più valore ad un aspetto rispetto che ad un altro, ma perché da oggi non proviamo a farci più caso? Potrebbe essere un’occasione per arrivare ad una modalità di comunicazione ancora più profonda e completa.
Abbiamo citato anche la cultura orientale, dove la mascherina ha una forte valenza sociale: la si indossa non tanto per proteggere sé stessi, ma gli altri, in modo che in caso di malattia, si possa continuare ad andare, per esempio, al lavoro, senza causare danni ai colleghi, oltre che per ripararsi dall’inquinamento. Questo è sintomo di una società decisamente più comunitaria, rispetto a quella più individualistica occidentale dove, parlando per estremi, la mascherina s’indossa per proteggere sé stessi.
Dagli studi di alcuni esperti di antropologia dell’università di Padova è emerso però un altro fine dell’utilizzo della mascherina nei paesi orientali, in particolare in Giappone: molti, soprattutto tra i più giovani, la usano per aiutarsi nell’interazione sociale, come protezione, sembra più facile entrare in contatto con gli altri con la mascherina che fa da “separatore”, un cuscinetto tra l’individuo e il mondo esterno. Anche questo aspetto rispecchia alcuni tratti della cultura giapponese, dove il fenomeno dell’isolamento e del ritiro sociale è in sempre maggiore espansione e causa non pochi problemi.
E’ strano come un pezzo di stoffa davanti al viso possa assumere significati così diversi e come possa aver modificato il nostro modo di relazionarci con gli altri. La speranza è ovviamente quella che la situazione si risolva al più presto e che l’indossare la mascherina non sia più un obbligo, ma una scelta (magari ispirata dalla cultura cinese, chissà); ma potremmo approfittare di questa situazione per cambiare qualcosa, nel nostro modo di porci verso gli altri: è uno sforzo richiesto ad entrambe le parti, chi parla e chi ascolta; prestiamo attenzione ad ogni particolare, diamo vera attenzione a chi ci sta davanti e parla con noi, esageriamo, facciamo domande e sorridiamo con tutto il corpo e con tutta la nostra voce, aspettando di poterlo tornare a fare come siamo abituati.