L’utilizzo della psicoterapia nell’arte
Capita molto spesso, da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo pubblicata nel 1923, che la psicoterapia, in particolar modo la psicoterapia psicoanalitica, venga utilizza come espediente letterario, cinematografico etc. per rendere la storia raccontata più interessante.
E’ innegabile che il fascino che questa pratica terapeutica rivoluzionaria, da quando S. Freud cominciò a proporla, abbia sedotto molti artisti o più in generale creatori di contenuti (come si è soliti chiamarli al giorno d’oggi) durante la fase creativa dei loro prodotti artistici. La psicoanalisi ha introdotto una modalità totalmente nuova nella descrizione delle cause e delle motivazioni che possono portare i personaggi di una storia a compiere determinati gesti o azioni, che siano esse buone o cattive. La psicoanalisi ha dato il potere agli scrittori di spiegare retrospettivamente le conseguenze dei comportamenti dei protagonisti delle loro opere, ha permesso di potenziare il valore ambivalente dei legami famigliari, portatori sia di benessere che di disagio. Ha dato l’opportunità, seppur con le dovute precisazioni, di giustificare determinate condotte sociali immorali ma allo stesso tempo intriganti per un possibile intreccio narrativo.
La psicoterapia nel cinema: poco realistica
Dai romanzi alla televisione, per citare uno dei più importanti registi che più si sono occupati di portare la psicoanalisi sul grande schermo, Woody Allen: “È assolutamente evidente che l’arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla televisione”. La psicoterapia fa ormai parte della vita di molte persone, ed è quindi giusto che piano piano sia entrata a far parte a tutto diritto nelle trame dei film e dei prodotti televisivi. Woody Allen è stato il primo a trattare realmente la psicoanalisi come elemento portante di interi film. I suoi racconti sono pieni zeppi di citazioni a Freud, agli analisti, al complesso di Edipo etc. Il suo film più famoso, quello che gli valse l’Oscar nel 1978, “Io e Annie” è in buona sostanza, una seduta psicoanalitica con lo spettatore. Woody rompendo la quarta parete si rivolge allo spettatore per esplicitare i suoi pensieri, dubbi, drammi etc.
Ha parlato così tanto di psicoanalisi che ha finito per scimmiottarla, per farne una caricatura, con il risultato che, ad oggi, l’opinione che molte persone hanno della psicoanalisi non è molto distante da quella rappresentata nei suoi film.
Sono dell’idea che nelle serie tv, americane e non (comprese quelle italiane), non sia resa giustizia all’importanza della psicoanalisi e alla sua effettiva consistenza in termini di rappresentazione a livello di senso comune.
Si parla spesso di psicologia nei film, nelle fiction e nelle serie tv vengono spesso utilizzati psicologi o lavori affini per dare complessità alla figura del protagonista. Ma sono dell’idea che non vi sia una rappresentazione all’altezza della realtà, non tutte scadono nella caricatura, ma molto spesso la visione che ne emerge non rispecchia quella che effettivamente è una pratica che migliora la qualità della vita delle persone che attraversano un momento di difficoltà.
In treatment: un nuovo modo di rappresentare la psicoterapia
Ma, in questa quarantena ho avuto la piacevole esperienza di scoprire una serie tv in onda su Sky, una serie tv che è il remake di una serie tv americana che a sua volta è il remake di una serie tv israeliana: “In treatment”.
La serie è composta da 3 stagioni, ogni stagione è composta da ben 35 episodi che riprendono le sedute dei pazienti settimana per settimana. La serie è andata in onda dal 2013 al 2017. 4 situazioni terapeutiche differenti riprese per sette episodi ciascuna. Il quinto episodio di ogni settimana è invece dedicato a Giovanni Mari, lo psicoanalista interpretato da Sergio Castellitto.
Perché ritengo che questa serie sia diversa da tutte le altre che hanno provato a trattare la tematica psicoanalisi/psicoterapia?
1. In treatment: lo studio dell’analista
Innanzitutto per la scelta davvero azzeccata di ambientare il tutto in una stanza ben arredata, la stanza dell’analista, e di caratterizzarla attraverso dei particolari (la collezione di modellini di barche a vela e di quadri inerenti la vita marittima) che però non distolgano l’attenzione dello spettatore dalla interazione tra l’analista e il paziente. Quindi vi è, a mio parere, una ricerca raffinata delle condizioni ambientali che riproducono fedelmente un possibile setting nella realtà.
2. Cos’è la psicoanalisi? In treatment volta pagina
La scelta dell’orientamento psicoterapeutico di carattere psicoanalitico. Portando avanti la tradizione audiovisiva di introdurre i classici costrutti di Complesso di Edipo, Fase anale, Controtransfert, Topica Freudiana etc. ci si aggancia alla tradizione che ha costruito l’immaginario psicoanalitico nel mondo cinematografico ma allo stesso tempo la si rinnova e attualizza attraverso la dimostrazione di come queste cose siano esperibili nella vita che quotidianamente conduciamo.
3. Dialoghi verosimili
La scelta dell’attenzione maniacale alle parole e alle frasi utilizzate nei dialoghi. Dialoghi intensi, provocatori, pregni di energia come quelli dei pazienti che nella vita di tutti i giorni andando da un analista possono riconoscere.
4. Una serie tv “da studiare”: in treatment durante le lezioni universitarie
La scelta di presentare 4 diverse situazioni terapeutiche: donna-isterica; uomo-antisociale; adolescente-borderline e coppia-perversa. Tutte fedelmente riprodotte. Tant’è che ritengo che possano essere visionate da studenti di psicologia in università per render concreta l’idea di come questi oggetti di studio si staglino nel contesto vitale del terapeuta con tutta la loro irruenza.
5. L’aspetto umano del terapeuta, “in treatment” come i pazienti
Infine la scelta di mostrare alla fine di ogni settimana, per sette episodi, l’analisi del terapeuta. Giovanni Mari, lo psicoanalista, è in crisi coniugale con la moglie ed evita di affrontare la questione con la diretta interessata. Resosi conto che la situazione interferisce con la pratica terapeutica decide di rivolgersi alla sua terapeuta-insegnante per una consultazione che successivamente si evolverà in una vera psicoterapia.
La scelta di mostrare l’aspetto umano del terapeuta, che in seduta appare sicuro di sé e infallibile, la trovo una scelta saggia. Una scelta utile anche a scardinare uno dei pregiudizi che attanagliano la figura, a livello di percezione sociale, dello psicologo: la possibilità di sbagliare. La possibilità di sbagliare in quanto essere umano. Essere umano che è coinvolto emozionalmente nella profonda relazione che si instaura con ogni paziente.
Tommaso Tunesi