“If I’m shinin’, everybody gonna shine”
Tradotto risulta qualcosa come “se io risplendo, anche tutti gli altri risplenderanno”. Un bellissimo pensiero, soprattutto se si pensa che proviene da una persona che nel giro di pochissimo tempo è passata dall’avere pochissima stima in se stessa al diventare una delle pop-star più in vista del pianeta.
La citazione è infatti del brano “Juice”, tormentone con il quale la cantante americana Lizzo ha scalato le classifiche di tutto il mondo facendosi conoscere sia per la sua musica che per la sua storia personale.
Melissa Jefferson (in arte Lizzo, appunto) pur avendo un talento artistico fuori dal comune non ha sempre pensato a se stessa come a una futura star, frenata, anche, dal suo aspetto fisico che non è proprio quello che i media veicolano come stereotipo. Lei infatti, un po’ “cicciotella”, ha sentito a un certo punto il bisogno di un percorso in terapia che, nelle sue parole, “è stato spaventoso”, ma le ha permesso di affrontare la sua vulnerabilità con un altro per “imparare a essere vulnerabile anche come cantante”.
Riconoscere la propria vulnerabilità è stata la chiave del suo successo e il punto di partenza per iniziare ad amarsi e ad avere stima in sè stessa, prima che sentire il bisogno della stima degli altri nei suoi confronti.
Possiamo imparare qualcosa dalla storia di Lizzo? Al di là delle banalizzazioni, il messaggio che porta la sua esperienza è potente: per ottenere un proprio equilibrio e soprattutto per imparare ad “amarsi incondizionatamente” occorre fare una vera e propria inversione di rotta, una rivoluzione nel modo di pensarsi: mettere al centro se stessi, non egoisticamente, imparare ad accettarsi nelle proprie vulnerabilità e portare al di fuori la parte più sincera e onesta di sé, senza preoccuparsi troppo di piacere agli altri.
Lizzo non è la prima celebrità a dichiarare di aver beneficiato di un percorso di terapia personale. Rimarremmo sorpresi dal sapere quanti personaggi famosi abbiano sofferto o soffrano di problematiche come la depressione soprattutto perchè siamo abituati a vedere la loro faccia migliore, quella più “scintillante” e, in un certo senso perfetta, e commettiamo l’errore di estendere quell’aspetto particolare a tutta la persona.
La verità è che le persone sono composte di un’infinità di aspetti e, anche se questo può essere faticoso e molto doloroso, talvolta nascondono una o più parti di sè per mostrare all’esterno un pezzo che pensano sia quello migliore o che gli altri si aspettano.
Autrice di libri che hanno venduto milioni e milioni di copie in tutto il mondo, donna più ricca d’Inghilterra, eppure anche J.K. Rowling, la creatrice della famosissima saga di Harry Potter, ha dichiarato di aver combattuto in passato con una depressione per la quale, più volte, aveva pensato al suicidio.
Prima di raggiungere il successo infatti, la Rowling non se la passava affatto bene: dopo un matrimonio fallito, con i figli a carico e una passione per la letteratura da cui non aveva alcun rientro economico si rivolse a un terapeuta da cui ricevette una diagnosi di depressione.
Quello, come raccontò più avanti, rappresentò il suo fallimento e il suo “fondo” da cui, sia grazie alla terapia che alla sua forza di volontà, riuscì a riemergere “sfogando” le sue parti più oscure nella creazione di una delle saghe più fantastiche e appassionanti mai scritte.
Molto si scrive a proposito della “resilienza”, concetto che, in parole povere, consiste nel saper fare leva sulle proprie risorse anche nei momenti di difficoltà per uscirne e “tirarsi su”. Non sempre tuttavia le persone riescono ad accedere alle proprie risorse e, allora, diventa importante rivolgersi a qualcuno, un “Altro” che possa aiutare a fare luce sulle proprie zone d’ombra, evitando che queste finiscano per diventare la totalità in una persona.
Un’altra celebrità, Kit Harington, star indiscussa arrivato all’apice del successo grazie alla fortunatissima serie “Game Of Thrones” è un ulteriore recente esempio di persona “crollata” sotto il peso delle aspettative (e degli impegni) eccessive che sentiva di avere da parte del pubblico. “Sapevo di dovermi sentire come la persona più fortunata al mondo”, eppure… Una serie di elementi, dallo stress, alla fatica lo hanno piano piano fatto allontanare sempre più dalle persone, con cui aveva smesso di parlare, fino a rendere necessario un periodo di “rehab” in una clinica americana dove è stato seguito da uno psicologo e grazie a sedute di meditazione e a una terapia cognitivo-comportamentale è riuscito a ritornare in contatto con sè stesso e con gli altri, allontanando il peso, diventato insostenibile, delle aspettative degli altri su di sè.
Il fatto che molti personaggi dello spettacolo, e che quindi hanno un grosso seguito, dichiarino pubblicamente di avere difficoltà e di rivolgersi a dei professionisti della salute mentale è sicuramente un fattore positivo che collabora ad abbattere il tabù per cui chi si rivolge a una terapia è “matto”, “strano” o diverso.
D’altro canto bisogna fare attenzione a filtrare il messaggio che ci arriva da questi personaggi in modo corretto e non generico: in particolare occorre evitare di arrivare all’estremo opposto per cui andare in terapia sia “cool” e soprattutto che sia una sorta di operazione medica che toglie il problema rimettendo le persone al mondo “come nuove”.
Non è così che funziona una terapia e, anche se esistono molti approcci e orientamenti diversi, conviene fare attenzione a concepire la terapia in maniera troppo “meccanica”.
Come si diceva prima, le persone presentano una varietà di aspetti diversi e la sofferenza è una di queste e va in quanto tale accettata e compresa e non eliminata. Imparare a convivere con le proprie vulnerabilità e le proprie aree buie è, spesso, il modo più autentico in cui le persone possono imparare a conoscersi e a stare al mondo con gli altri.
In particolare ognuno possiede delle caratteristiche personali che lo possono aiutare anche a prendere consapevolezza in modo soggettivo delle proprie difficoltà. Prendiamo l’esempio di Jim Carrey, comico straordinario che ci ha fatto ridere con decine di film e altrettanti show, da qualche anno è venuto alla ribalta il suo lato più eccentrico per cui in molti hanno iniziato a dichiarare che avesse perso la bussola. In realtà anche Jim soffre da anni di una depressione che lo accompagna nonostante una terapia psicologica e farmacologica.
Riconoscere e riconoscersi questa sofferenza gli hanno permesso di trovare un proprio modo di stare al mondo con la propria depressione che, anche se agli occhi dei più può sembrare “bizzarro”, dice della grande varietà che c’è fra ognuno di noi e ci offre il messaggio che tutti possono, se aiutati (e ascoltati), trovare la chiave per il proprio benessere senza necessariamente “cambiarsi”, ma, anzi, trovando la strada più autentica per rimanere se stessi.
dott. Patrizio Ferrari, psicologo clinico e psicoterapeuta in formazione